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Cinque frasi napoletane e il loro significato – Cinque cose belle

Una delle cose belle dell’Italia è l’estrema diversità delle sue lingue. In ogni regione, anche in ogni provincia, ci sono lingue che sono sopravvissute al passare dei secoli e hanno conservato la loro potenza e originalità. Alcuni sono particolarmente musicali. Come questa campana, ad esempio, che compare per intero nelle frasi napoletane più comuni.

I detti popolari della città più popolosa del Sud in realtà nascondono dietro poche parole una saggezza popolare difficile da trovare altrove. Sono frasi che abbiamo sentito milioni di volte e che sappiamo decifrare a tutte le latitudini della nostra penisola, ma di cui forse non conosciamo la storia o il significato più profondo.

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Negli idiomi napoletani troviamo riferimenti alla vita, all’amore, all’amicizia. O, molto più comunemente, sugli affetti familiari e su come rappresentano un marchio nella società. O ancora vediamo un profondo sarcasmo, un’ironia tipica della lingua napoletana.

D’altronde non è un caso che tanti grandi comici della nostra storia, sia nel mondo del cinema che del teatro. In primis Totò, che ha saputo portare nei suoi film le frasi napoletane più divertenti, mescolandole a neologismi e giochi linguistici di vario genere.

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Ma poi queste frasi hanno cominciato a entrare a far parte del nostro bagaglio culturale, anche grazie a Eduardo De Filippo, Massimo Troisi , anche cantanti come Pino Daniele, che nella prima fase di la sua carriera cantata spesso in napoletano.

Oggi non vogliamo solo cantare una delle tante fiabe italiane. Vogliamo entrare nel dettaglio. Per questo abbiamo selezionato cinque idiomi, cinque idiomi napoletani, probabilmente i più famosi. E cercheremo di spiegarne il significato letterale, quello implicito e, ove possibile, ricostruire parte della loro storia.

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1. E figlio so ‘piezz’ e còre

Il legame di madri e padri

“I Kramer contro Kramer del dramma». Questa è la scritta che ha attirato l’attenzione sulla copertina dell’edizione DVD de I figli… so ‘pieces’ e core, film del 1981 diretto da Alfonso Brescia e interpretato da Mario Merola.

I bambini... so 'pezzi' e nocciolo, sceneggiato con Mario Merola Una frase sicuramente impegnativa per un film di serie B con una limitata pretesa artistica, ma che coglie l’ampia popolarità di cui godeva il dramma napoletano all’epoca. E il titolo del film, a sua volta, alludeva a una delle frasi storiche della città.

“E figl so ‘piezz’ ‘e còre” si traduce molto semplicemente in “ I bambini sono parti del cuore”. Cioè, i bambini sono una parte inseparabile della propria anima, dei propri sentimenti. Un ruolo per il quale ovviamente siamo disposti a soffrire ea fare grandi sacrifici.

Questo sentimento, così profondo e così antico, non si limita al passato o ai melodrammi di Mario Merola. C’è ancora oggi un forte umore a Napoli e in Campania, ma più in generale in tutto il Sud. Tanto che ancora oggi le madri del sud fanno ancora molte battute sul loro atteggiamento a volte soffocante nei confronti dei propri figli [1].

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2 . Saluta ‘soreta

Dopo una frase in lacrime, bilanciamo immediatamente il tono generale del nostro articolo con uno che è invece intriso di sarcasmo. Anche in questo caso ci viene in soccorso un film, molto più grande di me figli… Conosco ‘Teile’ e Kern.

Il film, di cui potete vedere un breve estratto qui sotto, sopporta il titolo Un turco napoletano e con protagonista il gigante Totò. Risalente al 1953, è in realtà un adattamento di una farsa di fine Ottocento di Eduardo Scarpetta, il famoso drammaturgo napoletano.

Totò interpreta la maschera di Felice Sciosciammocca , che all’inizio della storia viene imprigionato. Qui racconta di essere un donnaiolo e dopo aver ricevuto la razione dalla guardia, si rivolge loro con un “Ciao a ‘soreta”.

Il significato della frase

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Questa frase ha un’ origine antica. Si traduce letteralmente in “Saluta tua sorella”, ma c’è un significato nascosto. La frase, infatti, viene solitamente pronunciata o con tono scherzoso o in tono offensivo perché allude al fatto che la sorella della persona è una ragazza che si è donata a chi sta trasmettendo

Nella Napoli del passato – ma proprio in tutto il sud Italia, come dimostrano tante altre commedie e tragedie – l’onore della famiglia è passato anche attraverso l’impeccabilità delle massaie. E quindi dalle madri, sorelle, mogli e figlie degli uomini.

Quindi “Salutame a’ soreta” o “Salutame a’ mammeta” era un cenno a “essi indossavano le corna” o che erano i figli di una “buona moglie” , come si chiamava all’epoca.

In molti casi si trattava di uno scherzo (e così è nella scena del film che riportiamo sopra), ma in determinate circostanze – se il riferimento fosse alle corna Fondazione – potrebbe configurarsi come un vero reato.

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3. Ccà nisciuno è stupido

Malizia e inganno

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Restiamo con Totò , attore che ha fatto molto per far conoscere in tutta Italia il modo di dire e le espressioni tipiche del napoletano Il video che trovate qui sotto, è in realtà da un altro suo film, I ladri, del 1959.

In questo film, il principe De Curtis interpretava il ruolo del commissario Gennaro Di Sapio della Questura di Napoli Sezione CNF. E questo acronimo, CNF, stava per de n Esclamazione napoletana “Ccà nisciuno è fesso“.

La traduzione della frase è molto semplice: “Nessuno è stupido qui”. Un detto piuttosto comune a Napoli e provincia, e bisognerebbe indagare sul perché. Da un lato, mostra effettivamente la saggezza popolare di chi sa molto e capisce bene quando qualcuno cerca di ingannarlo.

D’altra parte, tuttavia, mostra anche il fatto che imbrogli e inganni erano problemi con cui le persone spesso lottavano. D’altra parte, molte delle trame della commedia napoletana si snodano tra astuti imbroglioni e abili popolani.

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4. Adda passà ‘a nuttata

Napoli fiorì culturalmente tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta. Dopo la guerra, la città – forse grazie al fatto che fu liberata in tempi relativamente brevi e anche grazie a un grande movimento popolare[2] – divenne una delle capitali d’Italia, soprattutto dal lato cinematografico e teatrale b>.

 Il milionario di Napoli, una delle commedie più belle di Eduardo De Filippo

Il neorealismo ha messo in musica molti dei suoi capolavori [3], Totò ne ha mostrato il lato più comico, mentre i fratelli De Filippo li hanno enfatizzati nel teatro di allo stesso tempo dignità e contraddizioni. Eduardo in particolare è stato uno dei più importanti cantanti napoletani del dopoguerra.

“Adda passà ‘a nuttata”, il quarto detto popolare che abbiamo scelto per la nostra lista, deriva da una sua commedia. La frase si traduce letteralmente in “Deve passare la notte” e di per sé non significa nulla. Ma il ruolo che svolge nella sua commedia è così importante che questa frase è diventata un vero proverbio.

Napoli milionaria!

La commedia in questione è Milionaria Napoli! , uno dei migliori di Eduardo. Fu rappresentata per la prima volta nel marzo del 1945, quando Napoli era stata liberata da più di un anno e la guerra stava rapidamente volgendo al termine.

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La storia è incentrata su una famiglia napoletana durante e dopo il conflitto. La vediamo per la prima volta nel 1942 in miseria, determinata a sopravvivere solo grazie al commercio con la madre, Maria Rosaria, che lavora al mercato nero.

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Le donne infatti raccolgono caffè, cibo e altri beni di prima necessità e li vendono abusivamente a concittadini a scopo di lucro chiudere. Si dimostra infatti insensibile alle richieste dei napoletani e riesce ad eludere la legge con la complicità del marito, che si finge morto per evitare una perquisizione dei Carabinieri.

La scena poi salta qualche anno dopo. Gennaro, suo marito, torna dalla prigionia per trovare una casa completamente cambiata. Sua moglie Maria Rosaria ha accumulato molti soldi e ora è ricca, milionaria. D’altronde la guerra è finita e tutto sembra andare bene.

La malattia e la “Nuttata”

Questa ricchezza però ha minato i legami familiari, colpendo tutti più carrieristi e senza scrupoli. E a quanto pare il destino aumenta il conto quando la più giovane della famiglia si ammala e la medicina che potrebbe salvarla non si trova da nessuna parte.

Per fortuna una delle persone che è stata sperperata da Maria Rosaria ha proprio questo farmaco che sta dando gratuitamente alla famiglia. Il dottore poi somministra la medicina, ma la vita della bambina è ancora in pericolo. “Adda passà ‘a nuttata“, dice alla famiglia: “Deve passare la notte”, deve passare il momento più critico.

Da lì in poi la sentenza, che anche da Gennaro si ripete alla fine della commedia, ha segnalato ogni situazione in cui bisogna attendere quasi fatalisticamente che passi il momento negativo, sperando nella salvezza (anche morale).

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5.Ogni Scarrafone è bello per Mamma Soja

Pino Daniele e le mamme napoletane

Concludiamo con un’altra frase tipica della tradizione napoletana e ispirata in tempi relativamente recenti da una canzone diventata famosa in tutta Italia. La frase è “Ogne scarrafone è bell ‘a mamma soja” e la canzone a cui ci riferiamo è ‘O scarrafone di Pino Daniele [4].

Di per sé, il significato della frase è facile da tradurre e interpretare. “Ogni scarafaggio è bello per sua madre” fa notare che le madri amano indifferentemente i propri figli, anche i meno “belli”, sotto ogni punto di vista.

Anche in questa occasione c’è un detto che sottolinea l’affetto che lega le famiglie napoletane e in particolare le madri con i loro figli. Un affetto che a volte può anche diventare morboso.

La canzone di Daniele è stata pubblicata nel 1991 come apertura dell’album Un uomo in Blues. Tra l’altro, è stato uno degli ultimi singoli che il cantante ha registrato in napoletano [5] prima di iniziare a preferire l’italiano, cosa che gli ha permesso di sfondare finalmente in tutta la penisola.

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Appunti e Approfondimenti

[1] I ragazzi di Casa Surace ci hanno regalato una carriera costruito, o quasi. ↑ [2] Si tratta dell’epopea Four Days of Naples, che permise alla città di espellere i tedeschi prima dell’arrivo degli angloamericani alla fine di settembre 1943. Napoli è stata la prima città europea che è riuscita a mettere in fuga gli occupanti senza aiuti esterni e usando solo le proprie forze. Non per niente le è stata conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare (ecco qualche notizia per approfondire la questione). ↑ [3] Uno dei primi è stato il Paisà di Roberto Rossellini, che ha messo in musica uno dei suoi segmenti più toccanti a Napoli. Ma poi sono arrivati ​​i film di Vittorio De Sica, che usava spesso anche parole napoletane, anche per film che ritraevano altre città, come nel caso di Sciuscià (la cui location delle riprese era proprio Roma). ↑ [4] Puoi riascoltare il brano cliccando qui. ↑ [5] Tra gli altri canti in dialetto locale, i più noti sono probabilmente Napule è e Je so ‘pazzo. ↑

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